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GESTIRE UNA CRISI

Dicembre 2017

Questo opuscolo è una traduzione dell’o-
riginale “Navigating Crisis” del gruppo
Icarus Project (http://theicarusproject.
net/). Crediamo possa offrire importan-
ti informazioni di base e buoni spunti di
riflessione da cui partire, per una messa
in discussione individuale e collettiva del
concetto di “malattia mentale” e della
paura e disinformazione ad esso connes-
se. Non siamo, tuttavia, completamente
in accordo con l’intero contenuto, né ri-
teniamo si possa affrontare a pieno un ar-
gomento così complesso in poche pagine.
Il motivo che ci spinge a diffondere questo opuscolo riguarda innanzitut-
to l’esigenza di nominare l’innominabile: la crisi, il delirio, l’alterazione
della coscienza, la paranoia, l’esaltata euforia o la tristezza più profon-
da, l’inquietudine, l’angoscia, etc. Vorremmo dare dei nomi a quello che
proviamo e viviamo, in modo di riappropriarci dei nostri vissuti e scon-
figgere le etichette imposte da un sapere “scientifico” e da un “approc-
cio medico” che di scientifico e medico hanno ben poco. Senza voler entrare nel merito di cosa significhi “scienza” e cosa/chi rap-
presenta, non le riconosciamo l’intoccabilità che la caratterizza, come
per le altre istituzioni finalizzate a mantenere l’ordine sociale. Spesso
la scienza è uno strumento di potere, e ancora di più lo è la psichiatria,
nonostante i fondamenti di quest’ultima non potrebbero rientrare nem-
meno in criteri scientifici quanto piuttosto pseudoscientifici.
La psichiatria si basa infatti sull’ipotesi che il comportamento e il pensie-
ro siano fisicamente collocabili all’interno del cervello, e perché questaipotesi comporta una serie di conseguenze dannose e pericolose, tra
cui la somministrazione di psicofarmaci testati direttamente sulla per-
sona-oggetto di interesse clinico in un dato momento, oltre ad altri tipi
di sperimentazione che fanno parte della brutale storia dell’istituzione
psichiatrica.
A differenza delle cure mediche, le cosiddette “cure psichiatriche” com-
portano spesso la coercizione della persona in diverse forme (ricovero
coatto come il T.S.O., accertamenti sanitari a cadenza mensile presso il
C.S.M., terapie coatte a domicilio, controllo territoriale, etc.). Anche nel
caso di una terapia volontaria, la psichiatria opera ed esercita il proprio
potere grazie alla detenzione di un sapere “specialistico” e apparente-
mente inaccessibile a chi ci si imbatte le prime volte, giocando e mani-
polando sentimenti che hanno a che fare con la paura e l’impotenza di
fronte a situazioni di crisi.
Con il termine crisi intendiamo un momento di rottura più o meno forte,
che può riguardare il quotidiano (ciò che generalmente facciamo o non
facciamo), le relazioni (i momenti di crisi hanno sempre ripercussioni
sulle persone vicine, che amiamo e che ci amano), la norma (quelli che
vengono definiti comportamenti o pensieri bizzarri altro non sono che
un conflitto con chi ha un’altra lettura della realtà e che, spesso, se ne fa
portavoce).
La nostra esperienza ci ha insegnato che le persone più esperte in
quest’ambito sono le persone con esperienze di psichiatrizzazione, que-
sto per diversi motivi:
1. Innanzitutto non crediamo nella possibilità di categorizzare in un’u-
nica diagnosi (etichetta) molteplici esperienze, sentimenti, vissuti, per-
sonalità. Per questo capita quasi sempre che una stessa persona abbia
diagnosi diverse da diversi psichiatri. Spesso la diagnosi altro non è che
uno strumento di affermazione di politiche di potere rese possibili dal
Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM), che delinea
i profili patologici in stretta collaborazione con le case farmaceutiche e
che rappresenta uno dei maggiori dispositivi di potere e controllo dellasocietà capitalista in cui siamo inserit*.
2. Di conseguenza, lo psichiatra è al tempo stesso esecutore e padrone
di un dispositivo di controllo e correzione che difficilmente può essere
inteso come curativo. Quello che viene curato, nel caso della psichiatria,
è un pensiero o un comportamento al di fuori della norma e quindi che
disturba una realtà condivisa. Raramente viene problematizzato il con-
testo, e ancor più raramente tale pensiero/comportamento viene legit-
timato nella sua natura, semplicemente diversa e in conflitto con “l’altro
normale”. Il modo in cui viene curato il pensiero/comportamento pro-
blematico, è attraverso terapie farmacologiche e/o contenitive finalizza-
te a sedare, addormentare, annullare, spegnere la vitalità e l’esistenza
unica della persona.
3. Il potere della “cura” risiede nella conoscenza che la persona ha di
sé, dei propri limiti e delle proprie potenzialità e nella consapevolez-
za degli effetti che alcuni fattori esterni possono avere sul proprio sta-
to psicofisico, incluse le relazioni, la socialità, le passioni, l’attività fisica,
l’alimentazione, le sostanze, gli psicofarmaci. Per questo identifichiamo
nell’autodeterminazione e nella rete sociale le principali forme di presa
in cura di sé e dell’altr*. Abbiamo visto come la possibilità di raccontar-
si ed esprimersi liberamente offra l’opportunità di riappropriarsi della
propria vita e dare valore alla propria narrazione, passando da soggetti
passivi e vittimizzati (a causa del modello medico dominante) ad agenti
attivi e orgogliosi.
Tutto ciò di cui parliamo si basa su delle esperienze, non ancora su una
valutazione scientifica. Rifiutiamo il ruolo di specialisti e di conseguenza
un approccio assistenziale. Non ci consideriamo detentori di un sapere e
non crediamo in un’unica verità o soluzione. Crediamo, altresì, che ogni
situazione presenti la sua peculiarità e sia da affrontare senza precisi
schemi teorici di riferimento, consapevoli della complessità che questo
comporta.

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